Onorevoli Colleghi! - La legge 23 agosto 2004, n. 243, recante norme innovative in materia di previdenza obbligatoria e complementare, ha largamente contribuito a completare le riforme degli anni novanta, mediante un riordino, apprezzato in sede europea, dal quale si attende, nei prossimi anni, un aggiustamento importante della curva della spesa a correzione del trend previsto dalle precedenti previsioni per quando si determinerà il picco della spesa stessa (tavola 1). Per questi motivi, il presente progetto di legge si limita a completare quella importante riforma tenuto conto del fatto che alcune norme della stessa legge - approvate in forma di delega - non trovarono attuazione nella scorsa legislatura. Nella definizione del progetto di legge si è fatto, nuovamente, ampio ricorso alle norme di delega essendo questo lo strumento legislativo più utile per disciplinare - nei limiti di quanto previsto dall'articolo 76 della Costituzione - materie complesse come quella previdenziale.

 

Pag. 2

Tavola 1 - Proiezione della spesa pubblica sulle pensioni (% del PIL)

  Prima della riforma del 2004 Dopo la riforma del 2004
2005 14.1 14.1
2010 14.0 13.5
2015 14.3 13.6
2020 14.6 14.0
2025 15.0 14.4
2030 15.8 15.2
2035 16.1 15.6
2040 15.7 15.8
2045 15.0 15.3
2050 14.1 14.4

Fonte: Ministero del lavoro e delle politiche sociali, 2005.

      Per quanto riguarda la previdenza obbligatoria, la riforma del 2004 non è ancora andata a regime: le norme più importanti (l'elevazione dell'età minima di pensionamento) entreranno in vigore solo nel 2008. Per ora ha operato unicamente, e con risultati apprezzabili, il cosiddetto «superincentivo» a rinviare volontariamente l'andata in pensione di anzianità: una misura a cui hanno aderito dal novembre 2004 (ovvero da quando tale misura è entrata in vigore) al marzo 2007, quasi 85.000 lavoratori dipendenti privati, appartenenti a tutte le qualifiche, e che è destinata a scomparire dall'ordinamento il 1o gennaio 2008, quando sarà consentito, a normativa invariata nel sistema retributivo, solo il pensionamento di vecchiaia al raggiungimento dell'età legale per gli uomini e per le donne oppure al compimento di quaranta anni di contribuzione. Nel caso dell'anzianità, il requisito anagrafico passerà da 57 a 60 anni, per salire ulteriormente, secondo una scansione graduale, fino a 62 anni per i lavoratori dipendenti e a 63 anni per i lavoratori autonomi. Si tratta di un aspetto cruciale non solo della riforma del 2004, ma anche della credibilità dell'Italia nell'impervio cammino del risanamento dei conti pubblici, dal momento che la norma sull'elevazione dell'età minima è il principale (potremmo dire quasi l'unico) fattore di contenimento della spesa, introdotto dalla riforma del 2004: un risparmio di 9 miliardi di euro a regime nel 2011, ma di 39 miliardi di euro nel complesso nel periodo compreso tra il 2008 e il 2013. Ecco perché mettere mano allo «scalone» (nel programma del Governo Prodi si parla apertamente di «eliminare l'inaccettabile gradino e la riduzione del numero delle finestre che innalzano bruscamente e in modo del tutto iniquo l'età pensionabile») significa, innanzi tutto, rinunciare a un risparmio non solo importante - sul versante della riduzione della spesa - ma non conseguibile in nessun'altra maniera.
      Sugli effetti della riforma del 2004 si è pronunciata la Ragioneria generale dello Stato (RGS) confermando - in riferimento al cosiddetto «scenario base» - le stime già effettuate al momento dell'entrata in vigore della citata legge n. 243 del 2004. «Gli effetti finanziari delle misure di innalzamento dei requisiti minimi per l'accesso al pensionamento anticipato, recentemente approvate - ha scritto la RGS - decorrono dal 2008 e sono crescenti fino a raggiungere una riduzione del rapporto

 

Pag. 3

spesa/PIL di 0,7 punti percentuali a partire dal 2012. Tale riduzione si mantiene più o meno stabile fino al 2019 per poi passare a 0,6 punti percentuali dal 2020 al 2030». Occorre tenere conto - è bene aggiungere - del fatto che il sistema pensionistico futuro non ha solo problemi di sostenibilità ma anche di adeguatezza dei trattamenti, e che il prolungamento della vita attiva (con il relativo effetto sull'ampliamento dell'anzianità contributiva) è la terapia più adatta per realizzare anche un più adeguato tasso di sostituzione (il rapporto tra la pensione e l'ultimo reddito percepito). Inoltre, come già ricordato, il risparmio - sia pur limitato a livello dello 0,6-0,7 per cento del prodotto interno lordo (PIL) - sarà realizzato intorno al 2030 quando è previsto il picco della spesa pensionistica. Con le misure prefigurate nel presente progetto di legge si provvede a correggere nel decennio successivo (quando si invertirà la tendenza al risparmio in conseguenza dell'effetto importo di prestazioni più elevate perché corrisposte a persone dotate di un'anzianità contributiva più lunga) l'inversione di tendenza del trend della minore spesa. Il rapporto della RGS, infatti, conferma che «ad una fase iniziale di contenimento del rapporto spesa/PIL dovuta all'entrata in vigore delle disposizioni di innalzamento dei requisiti minimi, fa seguito, a partire dal 2012, una crescita piuttosto rapida che si protrae per circa un ventennio fino a raggiungere una fase di stabilità tra il 2030 e il 2040, con un punto massimo - era ancora la RGS - del 15,5 per cento nel 2034; dopodiché, inizia una fase di rapida decrescita che porta il rapporto al 13,9 per cento nel 2050». Lo studio della RGS si spinge fino a considerare l'andamento dei diversi sottoperiodi del prossimo mezzo secolo (l'arco di tempo in cui si dispiegano solitamente le previsioni). Cosi, nel decennio 2006-2015 saranno determinanti - fra il 2008 e il 2012 - gli effetti prodotti dall'innalzamento dei requisiti minimi per il pensionamento di anzianità, mentre il conseguente miglioramento degli importi avrà un effetto finanziario diluito nel tempo. Nella parte centrale (2016-2031) del periodo considerato, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL continuerà la propria crescita a seguito dell'aumento del numero delle pensioni (per effetto del progressivo invecchiamento della popolazione e del passaggio alla quiescenza della generazione del «baby boom») e della contemporanea riduzione del numero degli occupati, un fenomeno anch'esso collegato al forte calo della popolazione in età di lavoro. Questi processi, che di per sé comportano un ampliamento della spesa, troveranno, invece, parziale compensazione nella riduzione della dinamica della pensione media rispetto alla crescita della produttività, derivante dalla graduale introduzione del calcolo contributivo. Nell'ulteriore fase (2032-2041) il rapporto spesa/PIL sul valore-picco, dianzi indicato, del 15,5 per cento, si stabilizzerà in conseguenza dello «stratificarsi dell'effetto importo, indotto dal posticipo previsto dalla recente riforma il quale, in questa fase, è in grado di compensare la riduzione dell'importo della pensione derivante dall'introduzione del sistema di calcolo contributivo». Infine, nel periodo conclusivo (2042-2050) l'effetto importo andrà a regime poiché, nella quasi totalità, le pensioni in pagamento saranno già sottoposte ai nuovi requisiti del metodo contributivo. Nel medesimo tempo, però, il passaggio al nuovo sistema continuerà a produrre un'importante contrazione degli importi dei trattamenti rispetto ai livelli retributivi che si tradurrà in un forte e rapido calo del rapporto spesa/PIL, anche in conseguenza della sostanziale stabilizzazione del rapporto tra numero di pensioni e numero di occupati, la cui crescita tenderà ad azzerarsi intorno al 2046, quando raggiungerà il livello massimo del 117,6 per cento per poi flettere leggermente negli anni successivi. Ciò si spiega anche con la progressiva scomparsa dei «baby boomers». Le più recenti analisi, dunque, tendono a confermare, anche dopo il riordino del 2004, una linea di continuità con la legge n. 335 del 1995 (la riforma Dini-Treu), dopo oltre un decennio dalla sua entrata in vigore, e mettono in evidenza - anche per rafforzare l'adeguatezza dei
 

Pag. 4

trattamenti quando saranno più marcati gli effetti del sistema contributivo - l'opportunità dell'innalzamento dell'età pensionabile minima. In sostanza - è una convinzione della stessa Unione europea che effettua da anni un monitoraggio sui sistemi pensionistici degli Stati membri - se si fosse in grado di spostare in avanti (entro la fine del prossimo mezzo secolo) i requisiti anagrafici e contributivi, a 65 anni di età con quaranta anni di contribuzione, gli interessati percepirebbero, senza eccessive variazioni, un trattamento corrispondente a quanto percepito, nei primi anni duemila, a 60 anni di età con trentacinque anni di versamenti (tavola 2).

Tavola 2 - Il grado di copertura della pensione obbligatoria (valori in %) in relazione ai requisiti che, nel tempo, gli interessati devono far valere.

I: dipendenti privati   2000 2010 2020 2030 2040 2050
Caso di riferimento 60 anni di età e
35 di versamenti
67.3 67.1 56.0 49.6 48.5 48.1
Età: 65 anni
57 anni
67.3
67.3
67.1
67.1
62.2
53.1
57.8
45.9
56.7
44.8
56.1
44.4
Anzianità contributiva:
30 anni
40 anni
57.7
76.9
57.6
76.7
46.4
66.2
42.7
58.6
42.1
54.8
41.7
54.3
Dinamica retributiva:
1.5%
2.5%
68.1
66.5
68.2
66.1
58.6
53.6
53.8
45.9
52.7
44.8
52.3
44.4
Età/Anzianità contributiva:
65 anni/40 anni
76.9 76.7 72.4 66.8 64.0 63.4
II: dipendenti pubblici
  2000 2010 2020 2030 2040 2050
Caso di riferimento
60 anni di età e
35 di versamenti
68.6 68.1 58.4 49.6 48.5 48.1
Età:
65 anni
57 anni
68.6
68.6
68.1
68.1
64.8
55.4
57.8
45.9
56.7
44.8
56.1
44.4
Anzianità contributiva: 30 anni
40 anni
59.7
77.5
59.3
77.0
47.4
70.0
42.7
58.6
42.1
54.8
41.7
54.3
Dinamica retributiva: 1.5%
2.5%
68.3
68.8
68.5
67.7
60.9
56.1
53.8
45.9
52.7
44.8
52.3
44.4
Età/Anzianità contributiva: 65 anni/40 anni 77.5 77.0 76.5 66.8 64.0 63.4
III: autonomi   2000 2010 2020 2030 2040 2050
Caso di riferimento 60 anni di età e
35 di versamenti
64.4 64.7 41.2 30.7 29.4 29.2
Età: 65 anni
57 anni
64.4
64.4
64.7
64.7
44.9
39.5
35.7
28.5
34.3
27.1
34.0
26.9
Anzianità contributiva: 30 anni
40 anni
55.1
73.8
55.3
74.0
32.2
50.9
25.9
39.5
25.5
33.2
25.3
32.9
Dinamica retributiva: 1.5%
2.5%
65.9
63.0
66.5
62.9
43.2
39.4
33.3
28.5
31.9
27.2
31.7
26.9
Età/Anzianità contributiva:
65 anni/40 anni
73.6 73.8 54.7 44.4 38.8 38.4

Fonte: Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato (dipendenti privati e autonomi) e INPDAP (dipendenti pubblici). In Appendice statistica al Rapporto sui sistemi pensionistici presentato nel 2003 all'Unione europea dal Governo italiano.

 

Pag. 5

      Ecco perché il presente progetto di legge delega si propone di consolidare, pur con un percorso di gradualità, l'elevazione dell'età pensionabile prefigurando, a decorrere dal 2014 (e quindi nel contesto dell'entrata in vigore, parziale o totale, del calcolo contributivo), un pensionamento flessibile in un range compreso tra 62 e 67 anni di età, per uomini e donne (quest'obiettivo è tuttavia subordinato alla verifica, entro il 2013, del raggiungimento del 60 per cento del tasso di occupazione femminile), corredato da corrispondenti coefficienti di trasformazione sottoposti a revisione biennale e automatica. Una soluzione siffatta è volta a restituire flessibilità al momento del pensionamento garantendo nel medesimo tempo un sostanziale innalzamento dell'età pensionabile. È questo il principale cambiamento che il presente progetto di legge introduce rispetto all'impostazione della citata legge n. 243 del 2004 che, nel sistema contributivo, prevede due soli percorsi d'uscita: a 65 anni di età per gli uomini e a 60 anni di età per le donne.
      Il presente progetto di legge prevede altresì: a) l'istituzione di un reddito minimo di 800 euro mensili, rivalutabili secondo le norme vigenti per la perequazione automatica delle pensioni, erogati per 13 mensilità a favore delle persone di età pari o superiore a 65 anni. Il reddito minimo integra fino al livello previsto il 1o gennaio dell'anno di riferimento gli altri eventuali redditi della persona interessata, con l'eccezione della proprietà della casa di abitazione. Il reddito minimo assorbe, inoltre, fino a concorrenza, eventuali altre prestazioni previdenziali e assistenziali riconosciute in precedenza ai soggetti interessati; b) l'ampliamento delle possibilità di cumulare senza limiti e oneri periodi contributivi presso differenti enti e regimi; c) la piena cumulabilità tra pensione e reddito da lavoro dipendente e autonomo; d) l'applicazione, ai fini di un'adeguata riduzione del requisito dell'età pensionabile, di un moltiplicatore pari a 1,2 per ogni anno di lavoro effettuato in attività ritenute usuranti secondo la normativa già prevista e la casistica individuata in sede tecnica, tenendo conto delle elaborazioni compiute da commissioni scientifiche appositamente istituite; e) l'istituzione presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) di un Fondo di solidarietà delle tutele previste per il lavoro usurante al cui finanziamento provvedono pro quota i datori di lavoro, i lavoratori e lo Stato. La relativa ripartizione degli oneri è stabilita, annualmente, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, tenendo conto dei flussi contributivi ordinari e dei trasferimenti stanziati nelle leggi finanziarie in ordine alla quota relativa alla Gestione per gli interventi assistenziali (GIAS); f) il riconoscimento di agevolazioni alle lavoratrici madri, anche stabilendo che i periodi di astensione dal lavoro per maternità e puerperio valgano il doppio fino ad un massimo di anni due; g) lo sviluppo, per le persone con responsabilità familiari per le quali non è riconosciuta una retribuzione (cosiddetti «casalinghi» o «casalinghe»), di forme di accrediti pensionistici di natura obbligatoria mediante l'emissione di «buoni» loro erogati dalla distribuzione commerciale quali incentivi ai consumatori. Tali accrediti sono versati presso la relativa gestione dell'INPS; h) la considerazione come contribuzione figurativa per il periodo legale del corso di laurea; i) la revisione della governance degli enti introdotti con il decreto legislativo n. 479 del 2004, mediante criteri che valorizzino anche la rappresentanza delle parti sociali.
      Conclusivamente è bene sottolineare la particolare attenzione che il presente progetto di legge dedica ai problemi dei lavoratori più giovani, a partire dall'assicurare loro un sistema a regime più equilibrato, in grado di erogare trattamenti più adeguati e di programmare interventi di carattere solidaristico (il reddito minimo per gli ultrasessantacinquenni) completamente espunti dalla menzionata legge n. 335 del 1995. Il presente progetto di legge affronta altresì questioni di carattere specifico nell'interesse dei giovani, come la contribuzione figurativa per il conseguimento del diploma di laurea, le agevolazioni

 

Pag. 6

per le lavoratrici madri, la piena totalizzazione e cumulabilità dei periodi contributivi presso enti diversi. In particolare si sottolinea l'importanza dell'estensione - mediante una norma di interpretazione autentica - del «principio di automaticità» delle prestazioni (articolo 2116 del codice civile) anche ai lavoratori atipici in via esclusiva.
      La scelta strategica di affidare, infatti, la tutela previdenziale delle generazioni future ad un mix di previdenza obbligatoria, finanziata a ripartizione (il cosiddetto «primo pilastro» basato sul principio della solidarietà intergenerazionale) e di previdenza privata a capitalizzazione (il «secondo pilastro», dove ciascuno «pensa per sé») corrisponde a un'esigenza strategica di fondo. Il problema, allora, è quello di impostare, con equilibrio, un sistema misto, rivolto, quanto meno, a operare sia sul piano della finanza pubblica sia su quello dei mercati finanziari. Una sinergia virtuosa, dunque. La quota pubblica della pensione riuscirebbe ad alleggerire il proprio impegno, in vista della crescente «crisi fiscale» degli Stati e dei rivolgimenti nella struttura sociale sottostante. Quella privata potrebbe contare su una garanzia di base, utile nel momento in cui il residuo trattamento viene conseguito misurandosi con «gli spiriti animali» del mercato. È molto più conveniente, anche ai fini della tutela dei lavoratori, fare affidamento su una strategia che ripartisca il rischio-pensioni in parte sul sistema pubblico riformato e in parte su una quota a capitalizzazione individuale, costituita da investimenti e da rendimenti veri. Da troppi anni l'Italia è alla ricerca di un moderno sistema di risparmio a fini previdenziali, che (ripetiamo il concetto fino alla noia), operando secondo una logica di ripartizione del rischio all'interno di un sistema misto (prevalentemente) pubblico e (adeguatamente) privato, possa meglio tutelare le pensioni delle giovani generazioni dagli effetti devastanti delle crisi determinate dalle profonde trasformazioni demografiche, economiche, occupazionali e sociali, in corso e attese. Il primo provvedimento organico di riordino della previdenza complementare reca la data del 1993 (fu opera del primo Governo Amato). Da allora tante cose sono accadute, ma il secondo pilastro, quello che avrebbe dovuto accompagnare le tante riforme del primo, integrandone le prestazioni divenute più modeste, non è ancora riuscito a decollare.
      In sostanza, i fondi negoziali sono fortemente permeati e influenzati dalle realtà collegate alle parti sociali. Il perimetro delle adesioni ai fondi corrisponde a quello delle aziende e dei lavoratori appartenenti alle basi organizzate dai soggetti collettivi che istituiscono i fondi. In tutti questi anni, poi, a testimonianza di un vizio prettamente italiano, i Governi hanno pensato di risolvere i problemi aggiungendo norme nuove a leggi che non erano neppure riuscite a entrare in vigore e ad essere sperimentate, finendo così per destabilizzare e per «intossicare» il sistema anziché lasciarlo crescere per suo conto. Ora, la possibilità di conferire il trattamento di fine rapporto (TFR) maturando (rafforzata dalla procedura del silenzio-assenso, in forza della quale «chi tace acconsente») alle forme di previdenza privata, in regime di par condicio tra di esse (fondi negoziali, aperti, piani individuali pensionistici) potrebbe consentire - ferma restando la libertà dei lavoratori di lasciare il TFR in azienda per vederselo liquidare con la rivalutazione di legge - di smobilizzare risorse importanti per fornire «massa critica» al settore a capitalizzazione. Per conseguire un reale obiettivo di sviluppo del settore è necessario ripristinare quel principio di effettiva par condicio (anche attraverso la corresponsione del contributo del datore, se dovuto, nel caso in cui la scelta del lavoratore non si rivolga a un fondo negoziale), chiaramente indicato nella legge di delega (legge n. 243 del 2004) e violato nel decreto legislativo attuativo della stessa delega n. 252 del 2005. Il presente progetto di legge propone altresì la soppressione del Fondo istituito presso la Tesoreria dello Stato, gestito dall'INPS, in cui confluiscono le somme di TFR inoptato. Tali somme sono riportate nella disponibilità delle imprese, mediante meccanismi di conguaglio della contribuzione sociale dovuta.
 

Pag. 7